Ci troviamo di fronte ad uno dei mostri sacri della fotografia. Letizia Battaglia, nata a Palermo il 5 Marzo del 1935, vive appieno le enormi problematiche della sua terra, del periodo storico e, non ultimo, del fatto di essere donna. Inizia la sua carriera come fotoreporter per il giornale L’Ora di Palermo, in quegli anni molto impegnato nelle cronache di mafia, come prima donna ad entrare ufficialmente in una redazione giornalistica. Dopo una parentesi milanese, fondamentale nella sua futura carriera e formazione professio
nale, torna all’Ora nel ’74 come responsabile della fotografia. Dichiara: “Su una scena di omicidio erano tutti uomini, non c’era una donna, anche i medici legali, i giudici erano tutti uomini in quegli anni. Io dovevo portare le foto al mio giornale ‘l’Ora’, e non mi facevano passare perché ero donna, allora siccome la Rai passava, i miei colleghi fotografi passavano, non mi credevano io mi mettevo a gridare. Questo creava panico nella polizia, arrivava il capo che talvolta mi conosceva e diceva ‘la signora passa’.”
Un’artista originale, come dimostrato dai numerosissimi ritratti, squisiti e antropologici, di anziani o bambini che raffigura nelle strade della sua città. Una reporter instancabile ed inarrestabile, come dimostrano gli scatti, immortalati sulle scene del crimine, sempre in bianco e nero “del lutto di sempre” come avrebbe cantato Rino Gaetano. Immagini trasparenti, crudeli (nel senso artaudiano del termine) nelle quali, appunto, realtà e pericolo si manifestano immediatamente agli occhi dello spettatore, evitando dannosi luoghi comuni e accendendo un immaginario limitato solo dalla drammaticità.
Ucciso mentre andava in garage fu “uno dei primi omicidi che ho dovuto fotografare”, racconta Battaglia.
“La vittima stava andando in garage a prendere la sua auto. Lo colpirono nella discesa.
Prima di scattare chiesi a poliziotti e curiosi di liberare la scena”. La scelta della prospettiva, dal basso della rampa, racchiude tutto il senso estetico che solo una grande artista può riuscire a tirar fuori in un momento così drammatico. Sullo sfondo si affollano curiosi i passanti, una donna osserva dal balcone del secondo piano. I muri della rampa, unendosi al palazzo sullo sfondo, non lasciano vie di fuga allo sguardo. Come una vertigine, ogni elemento sembra convergere sul corpo esanime, anche la vecchia macchia d’olio che taglia l’asfalto dall’auto all’uomo. Ma non c’è preparazione, non c’è messa in scena. Sul corpo il foro d’ingresso del proiettile è visibile sulla schiena ed il sangue è ormai arrivato fino al volto. L’uomo sembra morire davanti allo spettatore riflettendo un’angoscia senza fine.
Fabrizio Piselli
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