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TRA SFRUTTAMENTO E PROTESTA: I MIGRANTI E IL CAPORALATO

“Cari politici, non ignorate il grido di braccianti, contadini e cittadini. Abbiate l’audacia di

rivedere lo strapotere dei Giganti del cibo, se volete contrastare sfruttamento e caporalato.

Mettete gli stivali, venite nel fango della miseria e delle sofferenze.”

-Aboubakar Soumahoro

Cos’è il caporalato?

Il caporalato è collegato più che altro all’immigrazione nel Mezzogiorno, ma di fatto è una

pratica che riguarda tutto il territorio nazionale, per quanto sia più forte e radicata nelle

regioni meridionali. E’ una triste piaga dell’Italia, diffusa soprattutto nelle piantagioni ortofrutticole del sud Italia e nel settore dell’edilizia al nord; una forma illegale di sfruttamento del lavoro, il più delle volte gestito dalla criminalità organizzata, che l’alimenta e la sostiene. In linea con il pensiero della nostra società, ciò che importa è solo il contenimento dei costi e la massimizzazione del profitto, molto più del rispetto della persona.

Quali fasce coinvolge questo fenomeno?

Come ogni altro fenomeno che lede i diritti umani, i protagonisti dei fatti sono sempre i più

deboli, gli “invisibili”; nei decenni passati era in particolare la manodopera femminile a

trovare lavoro tramite i caporali, mentre a partire dagli anni ‘80 è aumentata sempre più la

quota degli immigrati, provenienti in particolare, ma non solo, da Medio Oriente e Africa

subsahariana.

Esiste una legge per arginare il fenomeno?

Vista la grande diffusione del fenomeno, soprattutto nelle regioni del sud, nel 2016 si è

deciso di intervenire con una legge ad hoc per frenare il problema e stabilire pene severe

ai caporali. Il provvedimento in questione è la legge n. 199 del 29 ottobre 2016 recante il

titolo “Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento

del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”.

Cosa comporta, nella pratica, la diffusione del caporalato?

La condizione delle vittime di questa prassi è quello che preoccupa associazioni e

opinione pubblica; è particolarmente disumana: sono persone che non hanno diritti né

assistenza sanitaria, lavorano spesso sotto il ricatto della violenza, non pagano le tasse e

se sono stranieri non possono allontanarsi dai cosiddetti “ghetti” in cui vivono per paura di

essere scoperti e ricevere un decreto di espulsione. Secondo una stima del ministero

dell’Agricoltura, i braccianti irregolari che vivono in Italia sono circa 150mila.

Perché, in questo periodo di pandemia, i media hanno riportato l’attenzione sul fenomeno?

Perché nel cosiddetto “decreto rilancio“, che contiene decine di nuove misure per

sostenere l’economia dopo il picco della pandemia da coronavirus, il governo ha inserito

anche una procedura per regolarizzare una parte dei migranti irregolari che vivono in Italia.

Si tratta di un testo piuttosto complesso che prevede la regolarizzazione soltanto per

alcune precise categorie di persone, che lavorano o intendono lavorare nei settori più

problematici: agricoltura e allevamento, assistenza agli anziani e cura della casa. Il primo

canale prevede che i datori di lavoro possano regolarizzare i lavoratori attualmente

irregolari. Nel caso di migranti irregolari, questi riceveranno automaticamente un permesso

di soggiorno.

In altre parole, quella che è stata annunciata come una sanatoria per i lavoratori irregolari

soprattutto stranieri (ma non solo), sembra essere una sanatoria anche per i datori di

lavoro che utilizzano manodopera irregolare.

Chi rimane fuori con questo decreto?

Si tratta di una regolarizzazione che potremmo definire parziale e settoriale.

Sono numerose le categorie di lavoratori stranieri irregolari che sono escluse da questa

sanatoria, basti pensare, a titolo di esempio, ai tanti lavoratori utilizzati nell’edilizia.

Questa scelta settoriale fa pensare che la vera ragione che soggiace al provvedimento in

questione è la necessità di forza lavoro nelle campagne italiane per i prossimi mesi;

motivo per cui si è reso necessario un dibattito su questo fenomeno, dovuto alla

mancanza di lavoratori durante la quarantena con la conseguente perdita di importanti

quantità di merce.

Qual è il grande limite della risposta politica allo sfruttamento?

Aboubakar Soumahoro, attivista sociale e sindacale, ce lo spiega dal punto di vista degli

ultimi; le varie leggi sull’immigrazione sono state emanate sulla base del paradigma della

paura, emergenza, sicurezza e quello dell’utilità.

“Quest’ultimo paradigma stabilisce che un permesso di soggiorno debba essere concesso

a persone utili alle esigenze del mercato del lavoro e dell’economia del paese. In

quest’ottica, il valore della vita umana viene valutata in base alla sua “utilità” e alla sua

produttività. Ovvero un essere umano ha il diritto di esistere non perché “è” ma perché

“fa”, quindi utile. Serve coraggio per fare una regolarizzazione per tutti gli invisibili,

indipendentemente dall’utilità economica, per una questione di civiltà e dovere di Stato.

Anche se alcuni vorrebbero solo braccia qui ci sono esseri umani ai quali vanno

riconosciuti diritti e dignità.“


Noemi Borzi

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