La famiglia e la corruzione nei rapporti all’interno società borghese tornano centrali nell’opera di Bellocchio, dopo I pugni in tasca (1965), con Salto nel vuoto, nel quale altrettanto importanti risultano le delicate dinamiche psicologiche che intercorrono tra i due protagonisti ed un’intensa riflessione sul ruolo della donna nella società.
Mauro (Michel Piccoli) e Marta Ponticelli (Anouk Aimée) sono fratello e sorella e vivono nella
stessa casa insieme alla domestica Anna (Gisella Burinato). Lui, giudice, si prende cura di lei,
casalinga presentata come mentalmente instabile. Questo è il quadro iniziale di fronte a cui ci pone il regista; presto, però, si scoprirà una situazione ben diversa da ciò che appare. È Mauro, in realtà, attraverso un abbondante uso di aggressività passiva, a causare i disturbi della sorella che, rinchiusa tanto fisicamente quanto mentalmente, peggiora a tal punto da far maturare in lui l’idea di sbarazzarsene. Cerca, perciò, l’aiuto di Giovanni Sciabola (Michele Placido), attore già pregiudicato ed indagato dal giudice stesso. L’incontro fra Marta e Giovanni rovescia completamente la situazione e, mentre la sorella inizia a recuperare la propria autonomia, la gelosia, dovuta all’abbandono, prende il sopravvento in Mauro fino a tramutarsi in depressione. Il giudice, nel tentativo di riappropriarsi della sorella, cerca di far arrestare l’attore che fugge via; ma ora Marta è diversa e decide, nonostante le resistenze del fratello, di andare ospite per qualche giorno nella casa al mare della domestica. Mauro rimane da solo immerso nelle proprie crisi, per la prima ed ultima volta.
Nella scena iniziale la macchina, dal basso della strada, inquadra verso l’alto una finestra aperta attraverso la quale entra in campo il volto obliquo del giudice; il controcampo in soggettiva dalle sue spalle scopre il fattaccio: una donna si è suicidata gettandosi dalla finestra. Il primo piano del volto teso di Mauro svela la rottura dell’equilibrio, il trauma, un desiderio in fantasia diventa realtà. Per la maggior parte del tempo la storia si svolge all’interno della casa e tra le stanze in penombra l’intransigenza si manifesta tramite le gestualità ripetute dei protagonisti e le inquadrature claustrofobiche: quando Mauro origlia, forbici in mano, i deliri della sorella da dietro la porta, attraverso i monologhi solitari ed ancora attorno all’altare della tavola tra il servilismo e le nevrosi. Il film è punteggiato da tre scene oniriche: nella casa durante il sonno dei protagonisti appaiono, come fantasmi nelle bianche camicie da notte, dei bambini sospesi tra l’angoscia della pazzia e la reminiscenza del gioco. Al termine dell’ultimo sogno la campana suona, i bambini posano gli abiti da gioco degli adulti ed escono dalla porta della casa, dalla quale rientrerà a tarda notte Marta. Nel finale, all’ingresso della casa, lo specchio sulla destra riflette la porta da cui esce
senza esitazione una donna di nuovo bambina. Dopo un leggero carrello ad indietreggiare parte il piano-sequenza vertiginoso attraverso le stanze in cui Mauro vaga senza pace, la distruzione del sé riflessa nella distruzione del set. Il giudice cammina in corridoio, chiude le porte delle stanze. La macchina lo segue fino alla stanza della sorella, dove si arresta. Mauro torna in campo, riapre la porta e attraversa la stanza verso la finestra. Un sussulto interno sveglia Marta: nella stanza della casa di Ostia l’orizzonte fra il cielo ed il mare non ha limite visto dalla sua finestra, ma è forse tardi per cullare il suo sogno di maternità. Il salto è nel vuoto delle apparenze, dei rapporti, delle fantasie negate.
Sceneggiato insieme a Vincenzo Cerami e Piero Natoli, con la fotografia di Giuseppe Lanci, il montaggio di Roberto Perpignani e le inconfondibili musiche di Nicola Piovani, Salto nel vuoto è valso a Marco Bellocchio il David di Donatello nel 1980 e la nomination alla Palma d’oro come miglior regista al trentatreesimo Festival di Cannes. Sempre durante la rassegna d’oltralpe viene assegnato ad Annouk Aimée il premio come miglior interpretazione femminile ed a Michel Piccoli il premio come miglior interpretazione maschile.
E’ proprio nell’intenzione di rendere omaggio a Michel Piccoli, scomparso lo scorso 12 Maggio, che risiede la scelta di iniziare questa rubrica ricordando un gran film e al contempo l’interpretazione che valse all’attore il riconoscimento più grande in carriera.
Ognuno è frutto del suo tempo e la maturazione di un artista è indissolubilmente legata ai suoi incontri, Michel Piccoli è una stella che ha brillato nel firmamento delle più alte espressioni nella storia del cinema, divenendo maschera per molti grandi registi.
«Il cinema, diceva André Bazin, sostituisce al nostro sguardo un mondo che si accorda ai nostri desideri» è l’omaggio nei titoli “parlati” de Il disprezzo di Jean-Luc Godard.
Merci Michel.
di Fabrizio Piselli
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