La parola femminismo, già dalle sue prime apparizioni, ha avuto nell’immaginario collettivo
una connotazione negativa, al limite dello scandaloso. Ciò è accaduto - e accade tutt’ora -
perché viene ignorato il suo significato e spesso la troviamo contrapposta al termine
maschilismo. Femminismo e maschilismo sono termini usati come opposti, questo perché
la nostra mente li classifica come tali dal momento in cui hanno lo stesso suffisso
denominale (-ismo), inducendoci a pensare che abbiano, dunque, lo stesso significato.
Proviamo a fare chiarezza: maschilismo e femminismo non sono antitetici, il maschilismo,
infatti, è un atteggiamento, un comportamento ed indica l’adesione a convinzioni di
superiorità nei confronti delle donne. Il femminismo, invece, è un movimento storico-
politico nato per ottenere la parità formale e sostanziale tra i due generi e parte dal
presupposto che c’è un netto svantaggio per quello femminile. I due termini, inoltre,
nascono in due momenti storici differenti: il termine femminismo compare per la prima
volta nell’Ottocento, grazie alle manifestazioni di donne del tardo Illuminismo, mentre il
termine maschilismo è stato coniato successivamente, nel 1937, grazie allo stesso
femminismo che lo ha riconosciuto e nominato. Se consideriamo, dunque, i due termini
come antitetici sbagliamo il significato di uno dei due. È necessario puntualizzare, inoltre,
che sarebbe più corretto parlare di femminismi piuttosto che di femminismo, in quanto
declinandolo al singolare non si tiene conto della complessità delle prospettive, delle
terminologie e delle molteplici ideologie che lo caratterizzano. La rubrica Protagoniste
nasce proprio con questo intento: riuscire a delineare, seguendo un ordine cronologico, la
storia e il pensiero dei movimenti femministi, dalla Rivoluzione francese al XXI secolo,
tramite la testimonianza di tutte quelle donne che hanno alzato la voce e si sono mosse
auspicando un mutamento radicale della società.
Dato che la storia dovrebbe significare conoscenza, perché ci sono tante voci inascoltate?
Forse perché la storia è scritta dai vincitori e di conseguenza solo una parte di verità viene
raccontata. Questa conoscenza, infatti, è mutilata dal momento in cui tiene conto di un
unico punto di vista: quello maschile. Vogliamo veramente accettare questa versione e
ignorare la lunga lista di disuguaglianze e prevaricazioni a cui la specie umana, tutta, è
stata sottoposta? Non è un mistero che la disuguaglianza più evidente e longeva, e che
ancora resiste, sia quella tra uomini e donne. Fin dai tempi antichi, infatti, le donne sono
state considerate inferiori agli uomini per natura. La naturalità è il principio fondante di
questa cultura patriarcale, dove uomini e donne hanno ruoli congeniti ben precisi: gli
uomini comandano, decidono, producono; le donne, invece, considerate incapaci di
raziocinio, bisognose di essere protette e guidate, hanno il compito di procreare e gestire il
focolare domestico, come privilegio e gentile concessione di quella stessa natura. Le
donne, di conseguenza, sono state confinate nella loro corporeità e considerate
subordinate alla soggettività maschile, l’unica soggettività che era considerata possibile.
Questa è, come anticipato, solo quella parte di storia che ognuno di noi conosce e studia.
Tuttavia, c’è un’altra storia, anzi, tante altre storie fatte da donne che non sono rimaste in
silenzio ad accettare di essere asservite all’uomo, ma hanno parlato, hanno scritto e si
sono unite contro la misoginia per conquistare una pari dignità e diventare protagoniste e
non più comparse. Proprio per questo sono convinta che sia necessario raccontare
un’altra versione, perché viviamo in una società ancora fortemente sessista dove c’è
ancora chi sottovaluta il femminile e in cui l’universale è ancora ridotto al maschile,
producendo la negazione sia del soggetto donna sia del simbolico femminile.
Insieme, allora, possiamo partire da questa dicotomia uomo/donna e ampliarla, provando
a pensare alla nostra singola differenza come una posizione di tante parzialità e non di
universalità ed iniziare a superare questa naturalità e aprirci ad un milione di mondi
possibili. Possiamo farlo partendo da un linguaggio comune e da una versione completa
della storia, senza stereotipi e pregiudizi, cercando di mettere in risalto e far risuonare le
voci che per secoli sono state considerate rumore di sottofondo e dar spazio a quelle che
ancora oggi cercano di essere ascoltate. Cerchiamo di far avverare la profezia del poeta
Victor Hugo, secondo il quale il XIX secolo sarebbe stato il secolo della donna e, visto il
tremendo ritardo, facciamo uno sforzo e rendiamo questo secolo quello di ogni
soggettività.
Carlotta Pennelli
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