Chi è Patrick George Zaki?
Patrick George Zaki è un ricercatore egiziano e difensore dei diritti umani di 27 anni iscritto
all’università di Bologna, dove frequenta un master in studi di genere delle donne. La storia del ragazzo viene resa nota nella mattina del 7 febbraio 2020 quando, di rientro in Egitto per una visita alla famiglia, viene fermato, interrogato, torturato e arrestato.
Come viene giustificato l’arresto?
Gli avvocati di Patrick hanno riferito come l’assistito, in arrivo nell’aeroporto del Cairo, sia
stato ammanettato e bendato per 17 ore da Agenti della sicurezza nazionale (NSA), secondo protocolli che in un Paese civile verrebbero attuati solo in caso di pericolo terroristico. I pubblici ministeri di Mansoura hanno ordinato la detenzione preventiva di Patrick George Zaki in attesa di indagini su accuse tra cui “diffusione di notizie false”, “incitamento alla protesta” e “istigazione alla violenza e ai crimini terroristici”. Tutte le accuse portano ad una sola verità: Patrick Zaky è in questa situazione per aver partecipato attivamente alla lotta contro le ingiustizie del suo Paese; È impegnato nella difesa dei diritti delle minoranze oppresse nel Paese, a partire da comunità cristiane e persone Lgbt. «È stato arrestato perché denuncia il lato oscuro dell’Egitto». Amnesty International ha definito il suo caso come “un prigioniero di coscienza detenuto esclusivamente per il suo lavoro in favore dei diritti umani e per le opinioni politiche espresse sui social media.”
Qual è l’accusa ritenuta più pericolosa?
Un caro amico di Patrcik, Amr Abdelwahab, ha rilasciato un’intervista ad alcune note
testate giornalistiche italiane in cui rende chiara la sua preoccupazione soprattutto rispetto
l’impegno di Zaky per la comunità LGBT: «In Egitto questo è ancora un motivo per essere
perseguiti dalla legge: se questa notizia arrivasse ai media arabi, la posizione di Patrick
diventerebbe ancora più delicata».
Zaky, infatti, prima dell’arresto aveva pubblicato vari articoli inerenti l’arresto forzato di
persone che in Egitto sfoggiavano bandiere arcobaleno nei concerti o che più semplicemente parlavano apertamente della questione.
Come può l’Egitto eseguire tali arresti forzati?
L’accusa di terrorismo è molto malleabile e negli stati autoritari viene utilizzata per colpire
attivisti e dissidenti a 360 gradi. In Egitto, il sistema di giustizia è sempre meno indipendente: la recente riforma costituzionale attribuisce al capo dello Stato non solo la
presidenza della magistratura ma anche la possibilità di nominarne i vertici. D’altronde, Lo
scorso novembre l’Egitto è stato sottoposto all’Esame periodico universale del Consiglio
dei diritti umani delle Nazioni Unite, che fa un bilancio della situazione di ogni Paese
membro: nel report ufficiale dell’Onu sono state denunciate gravi restrizioni delle libertà,
1.500 sparizioni forzate tra il 2013 e il 2018 e migliaia di persone rinchiuse in carcere in
maniera preventiva, anche in stato di isolamento.
Come si sta muovendo l’Italia?
Sebbene non sia chiara la politica internazionale che vuole intraprendere lo Stato Italiano
o l’Ambasciata italiana al Cairo, i civili si stanno muovendo più in fretta: “100 città con Patrick” è una campagna che nasce con l’idea di forzare il governo italiano a prendere una
posizione decisa sulla vicenda appena descritta e, più concretamente, a concedere la cittadinanza italiana al ragazzo. Per arrivare a dare un forte segnale al Governo, la campagna vuole portare avanti la causa direttamente attraverso istituzioni locali e si pone l’obiettivo di raggiungere la cifra simbolica di 100 città disposte a riconoscere la cittadinanza onoraria del comune a Zaky. Un traguardo del genere porterebbe in dote un messaggio ben chiaro al governo, costretto a quel punto a prendere chiaramente una posizione.
«Patrick dava fastidio perché raccoglieva dati e informazioni sulle violazioni dei diritti umani in Egitto e le diffondeva all’esterno, proprio come faceva Giulio Regeni », commenta Paolo De Stefani, professore di International law of Human rights (Diritto internazionale dei diritti umani) all’Università di Padova. «L’Egitto invece vuole presentarsi alla comunità internazionale come un Paese moderato, il gigante buono che fa da paciere tra Israele e
Palestina , ma la verità è che la repressione interna è molto forte. Ecco perché queste
persone diventano estremamente scomode».
Noemi Borzi
Comments