Il lockdown è stato duro per tutti, diciamocelo. Settimane bloccati in casa a guardare schermi di ogni tipo, surrogati della nostra realtà sociale, mentre fuori i media e il governo ripetevano a nastro la parola"guerra". Intanto, nelle nostre case si era costretti a dire per l'ennesima volta ad anziani e spaventati parenti che no, il virus non passa attraverso internet e no, fino a prova contraria il virus non è una super arma chimica pensata dai cinesi per sterminarci (sterminarsi?) tutti. Non aiutava il fatto che anche tecnici ed esponenti del mondo scientifico si unissero al coro di misinformazione.
Personalmente, dopo mesi di frenetica attività all'istituto Gesù Nazareno di Via Dalmazia a Roma, alle prese coi diavoletti delle elementari, mi sentivo deprivato di un senso, un giocattolo rotto abbandonato tra quattro mura, a vedere serie tv e telegiornali. Gli unici momenti in cui la vita sembrava andare un po' avanti erano quando scrivevo qualche recensione musicale o facevo ripetizioni per via telematica, avendo così la possibilità di vedere qualche studente, di dare una mano, di sentirmi utile a qualcosa.
Ma seppur solo e bloccato in questo senso di stasi, paradossalmente, sapevo di non essere solo affatto. In contemporanea con me, tutti stavano vivendo lo stesso isolamento e tutti, bene o male, stavano condividendo le mie sfide. Forse il momento era ideale per capirsi a vicenda, per connettersi. Per questo io e alcuni volontari abbiamo pensato mesi fa che forse, in quel momento di incertezza e paura, a noi almeno restava uno scopo: potevamo, grazie alla nostra capacità comunicativa e alla dimestichezza coi mezzi telematici, aiutare qualcuno a capire cosa succedeva fuori, intrattenere con qualche articolo più leggero o magari solo fare un po' di compagnia. Ridurre la solitudine che, soprattutto per chi vive da solo,
si era fatta opprimente. Così è nato il progetto InVolontario. Ragazzi di esperienza e formazione diversa (da giuristi a studiosi di cinema, da letterati a linguisti) si sono uniti a formare un gruppo di comunicazione coeso, in grado, in poche settimane di confronto, di creare un sito sul quale imprimere la propria voglia di uscire dall'isolamento per tornare al confronto a al servizio degli altri.
Sono stato felice di unirmi al progetto, al quale partecipo come scrittore e come correttore di bozze.
Porre mano ai testi degli altri ragazzi è poi un lavoro piacevole e interlocutorio, che riempie di responsabilità e che spinge continuamente al dialogo. Il lavoro di squadra, poi, richiede un continuo compromesso comunicativo, un equilibrio tra le proprie esigenze e quelle degli altri, consci che la propria debolezza è la forza di un altro, e che nessuno, nel gruppo come nella vita, ce la fa davvero "da solo",nonostante la fatica che un lavoro di gruppo può comportare. Questa è la lezione pratica che la pandemia mi ha dato e che spero di mettere in pratica al mio ritorno a scuola.
Alfredo Campagna
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