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L'istruzione ai tempi del covid-19

Sono passati ormai 3 mesi da quando l’emergenza sanitaria ha costretto le istituzioni a prendere decisioni drastiche, chiudendo scuole e università e stravolgendo la quotidianità di bambini, adolescenti e adulti. In una situazione come questa, ci si è resi conto di quanto la didattica sia fondamentale nella vita di ognuno; per i bambini, per la loro necessità di socializzazione primaria; per gli adolescenti, per cui la scuola è a tutti gli effetti la parte più importante della giornata, essendo l’istituzione attraverso cui si formano e che gli permette di crearsi un’identità; per gli universitari, che hanno già lavorato sulla loro identità e che dividono le loro giornate tra lezioni e preparazioni agli esami, in vista di un futuro poco prossimo; ma anche per i genitori che, da sempre, fanno affidamento sulla scuola per poter continuare con la propria vita, il proprio lavoro, nonostante i figli a carico.


Il cambiamento determinato da questa chiusura forzata ha immediatamente gettato tutti nello sconforto, ha reso fragili anche coloro che nella scuola non ci hanno mai creduto, ha reso ansiosi anche quei ragazzi che prima del lockdown speravano in una tempesta di neve per restare a casa con un’assenza giustificata.

La scuola in presenza è fatta di regole, è una regola. Il ragazzo sa cosa deve e cosa può fare; ma quel 9 marzo, con il primo Dpcm, gli studenti si sono ritrovati senza nessuna certezza, senza alcuna regola da rispettare. Nessuno sapeva come si sarebbero recuperati quei giorni, quelle lezioni, quella “notte prima degli esami” dei maturandi sognatori; come e se si sarebbero svolti gli esami, chi avrebbe continuato ad insegnare l’alfabeto ai bambini e Leopardi agli adolescenti.


Si è corso “ai ripari”, o almeno così si pensava, con la DAD (Didattica a Distanza); d’altronde, “nei Paesi scandinavi lo fanno da molto tempo e senza emergenze sanitarie”, si diceva; “è questione di tempo, poi i ragazzi torneranno nei corridoi delle scuole” si sentiva. Comunque sia andata poi, nel lungo termine, una cosa è certa: la situazione ha reso chiaro a tutti quanto sia importante il rapporto face-to-face professore-alunno, quanto sia necessario un feedback durante la lezione e, soprattutto, quanto il nostro Paese non sia pronto ad un passo avanti tecnologico di questa portata. La situazione è stata nel complesso assurda, è risaputo, ma neanche in una situazione del genere ci saremmo dovuti ritrovare in una sorta di esperimento sociale; studenti e studentesse sono passati ad essere oggetto di studio per capire che impatto hanno le disuguaglianze sociali in un’emergenza del genere, e l’assurdo è che ci si è ritrovati ad aver bisogno di una situazione estrema come questa per capire che nel nostro Paese il diritto allo studio non è effettivamente realizzato, e forse non lo è neanche lontanamente.


La corsa alla didattica a distanza ha portato le prime disuguaglianze tra i diversi istituti, anche tra varie università, l’una più organizzata dell’altra, professori più capaci, tecnologicamente parlando, e altri meno pronti a questo stravolgimento. Ma la vera “lotta di classe”, se così vogliamo chiamarla, è stata tra gli studenti; non tutti hanno la possibilità di avere un computer proprio e una connessione stabile, non tutti hanno una scrivania nella propria cameretta, alcuni neanche ce l’hanno la cameretta. E’ indubbio che in case in cui c’erano genitori obbligati allo smart working, più fratelli su piattaforme e-learning e pochi, pochissimi, pc e postazioni a disposizione, la DaD è stato un vero stress psicologico, estenuante. Soprattutto, direi, per i genitori di ragazzi e bambini che non si potevano permettere di dotare i propri figli di ogni comfort per la didattica a distanza e che, quindi, si sono improvvisati maestri, professori. Ma essere insegnante è un mestiere e sa come far avvicinare il bambino allo studio, come rendergli la conoscenza una bellissima possibilità di gioco; i genitori, purtroppo, no.

Ci sono dei ruoli nella vita di ognuno, la pandemia ha annullato ognuno di essi.


“La pandemia ci renderà persone migliori”; lo sentiamo spesso in questo periodo. Sarà effettivamente così? Le istituzioni inizieranno a render conto dell’importanza dell’istruzione, senza darla per scontato? Di sicuro, i bambini, le bambine, andranno a scuola senza fingere mal di pancia, perché anche e soprattutto loro hanno capito quanto bene faccia ad ogni persona avere un appuntamento nella vita: in questo caso, un appuntamento con la socialità, con la cultura.

Mi piace pensare che niente più sarà dato per scontato, e che un giorno, senza aver bisogno di pandemie globali, ogni ragazzo, ogni ragazza, vedranno effettivamente realizzato il loro diritto allo studio; che non è solo un principio sancito nel diritto internazionale dalla Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU, ma prima di tutto un dovere morale.


Noemi Borzi


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